venerdì 28 agosto 2015

Provence: dal Luberon alla città dei Papi

Joseph Roth, che da bambino sognava le città bianche della Provenza , scrive che i suoi tre colori principali sono “la pietra bianca, il cielo blu, il verde scuro dei giardini”. Io ne ricordo molti altri, dal viola-grigio della lavanda al rosa dei fenicotteri della Camargue e delle saline, tutte le tonalità dell’ocra fino al rosso delle rocce ricche di ferro.

Il mio viaggio nella terra del sole è iniziato in macchina passando per la frontiera di Sestrières facendo tappa a Briançon, piccolo paese inaspettatamente più ricco di arte e di passato rispetto alle vicine località sciistiche. Un’altra breve e piacevole tappa dettata dallo stomaco vuoto e dal piede sempre sull’acceleratore è capitata per caso a Savines le Lac, su una spiaggia di sassi mirando i volteggi dei parapendii che tinteggiavano a mezzaluna il cielo. 

Il punto stabile dei primi giorni è stato Apt, una cittadina non molto turistica, comoda per raggiungere  i vicini villaggi arrampicati sui lievi monti della Provenza. Percorrendo le belle strade provinciali del parco del Luberon ritrovo immediatamente la pietra bianca di cui parla Joseph Roth nelle sue pagine. Le montagne sono nude, nessun bosco le copre nascondendo il profilo grezzo, riparandole dal sole. E quando la forte luce del giorno le colpisce le fa sembrare anche più grandi, come amplificate. Solo verso l’Abbaye de Sénanque, posta in una vallata ombreggiata, si trova il verde degli alberi  insieme ad enormi campi di lavanda che purtroppo al mio arrivo è già andata incontro al raccolto di fine giugno-inizio luglio. Ne rimangono solo i gambi che formano piccoli cespugli rotondi e, dove non è passato l’uomo, dei malinconici fiori viola-grigio che ben si sposano con il colore dell’Abbazia. Questa è ancora dimora di un gruppo di monaci cistercensi e tra le antiche parti dell’abbazia, ormai solo turistiche, sono visibili il dormitorio, il chiostro con un giardino in fiore e la sala capitolare, luogo scelto per la predica e l’ascolto  della regola di San Benedetto.



A Gordes, piccolo villaggio in cima a un pendio, incontro il mio primo mercato pieno di frutta e verdura ma anche di tessuti, profumi provenzali e tante salse, mostarde paté di ogni tipo. Con piacere passeggio per le strette vie e comincio la camminata panoramica pensando a quanto quel tratto di valli assomigli alla Toscana.


Appena sotto il paese si raggiunge il Village des Bories. Si tratta di un insieme di costruzioni, le più antiche del 17° secolo e le più recenti del 19°, create in pietra a secco, cioè incastrando le pietre bianche senza l’utilizzo della malta. Questa versione provenzale dei nostri trulli, nonostante la difficile condizione di vita, ha ospitato pastori e agricoltori addirittura fino al secolo scorso.



Con gli occhi abituati al bianco di Gordes, Roussillon e la terra su cui poggia mi sono parsi un infuocare di colori. Avvicinandoci al paese la strada si fa ocra, poi arancione e addirittura rossa lasciando traccia sulle scarpe. Il paese appare rosso, dal momento che ogni casa è tarata su questa tonalità, dai muri, alle porte, ai tetti. Tanti i negozi che vendono pitture e polveri da miscelare con i colori di questa terra e intanto i bambini si divertono a raccoglierla per poi dipingersi bagnandola un poco. Dal paese inizia il Sentiers des ocres, un viaggio che porta in una sorta di gran canyon del Colorado che mostra il corpo sanguineo delle montagne.











Una breve tappa a Cavaillon, sulla via per Avignon, mi lascia senza molti commenti, a parte la presenza di una sinagoga che purtroppo non ho avuto il piacere di visitare.
La città dei Papi è una fortezza religiosa, una medioevale città fortificata da spesse mura, con un grande palazzo-castello gotico che nel Trecento ha ospitato i tre papi Bonifacio VIII, Benedetto XI e Celemente V. Questo periodo cosiddetto di cattività avignonese ha portato alla costruzione di questo maestoso palazzo, che ha l’aspetto di un luogo difensivo per la guerra e che invece ospita arazzi, affreschi e la culla della chiesa. Più che in cattività, questi Papi mi sembrano siano stati in vacanza, tanto che esisteva anche una residenza fuori le mura aldilà del Rodano per le permanenze estive. Dell’interno sono visitabili venticinque stanze, i giardini, le cappelle, anche se il Palazzo dei papi è stato in gran parte distrutto dalla Rivoluzione. Intanto la città arde sotto il sole e il bianco delle sue pietre lo riflette soffocando e abbagliando i turisti.



Les Beaux de Provence è il grande sito medievale della Provenza che mantiene un imponente castello di pietra bianca su uno sperone roccioso che domina il villaggio e la valle ricca di vigne e ulivi. Sono visibili copie delle catapulte utilizzate nelle battaglie che mi sono diverta ad azionare insieme a un gruppo di giovani turiste lanciando il peso poco più in là dei nostri piedi. La montagna su cui si inseriscono impavide le vie è un fantoccio pieno di gesso e pietra che l’uomo negli anni ha scavato fino al cuore, estraendone il bianco. Dentro un’enorme cava a più piani, dove si respira un’aria umidiccia e si percepisce una strana pressione atmosferica, appare immenso ai miei occhi lo spettacolo delle “carrières de Lumières”: una riproduzione sui muri interni della cava in scala gigantesca delle opere del Rinascimento italiano di Michelangelo, Leonardo da Vinci e Raffaello. La famosa “dama con l’ermellino”, la “Cappella Sistina” e “L’ultima cena” sfilavano nella loro interezza o alcuni particolari dei corpi o del paesaggio, così spaziose e così vicine, che era una gioia fruirle senza il pubblico dei musei, lontane sui soffitti, o troppo piccole e protette dalle vetrine.


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