Mi è tornato in mente il film "L'auberge espagnole" che a suo tempo ho apprezzato anche nella sua leggerezza e semplicità. Il protagonista Xavier, in Erasmus, si ritrova a convivere con 6 ragazzi di nazionalità differenti e quando alla fine tira le somme della sua esperienza dice: je suis lui, lui, elle, et lui aussi....
Banale, si dice sempre che un individuo è la sua storia e le persone che ha incontrato. Però l'insistenza sul dato multietnico mi sembra fondamentale per la sua comprensione.
Sono cresciuta con persone che non hanno mai vissuto se non nel luogo di nascita e che addirittura rimangono nella convinzione di non riuscire a vivere in un'altra casa se non in quella dove sono cresciuti. Forse influenzata dagli esempi a me vicini, ritenevo normale prospettarsi una vita vicina ad amici e famiglia. Essere e rimanere una cultura, una lingua, un popolo. Adesso penso che oltre all'obbligo di studiare, essere curiosi e essere ciò che si impara sia necessario essere ciò che si vive.
Essere una lingua è troppo poco, essere una sola cultura altrettanto. Si può pretendere molto di più, dal mondo e da noi stessi. E' necessario partire prima o poi, e all'opposto del detto "partir, c'est mourir un peu", credo che dia l'opportunità di vivere altre vite. Il mondo è troppo grande per fare parte solo di una fetta.