sabato 29 agosto 2015

Provence: il parco della Camargue e Marsiglia

Il Parco della Camargue, che si divide tra la regione della Provenza e della Camargue, offre molte passeggiate nella natura e nelle riserve ornitologiche. A Pont de Gau scopro quindi che i fenicotteri sono una razza molto rumorosa  e attacca-brighe con i loro simili con cui condividono uno stagno paludoso. Dalla loro posizione su una gamba sola si staccano all’improvviso per volare alti sopra gli alberi con tutto il corpo allungato, proteso in maniera aerodinamica.  La natura della Camargue è inoltre ricca di insetti di cui ricordo il mio incontro con un’amantide religiosa, di farfalle dai colori caleidoscopici, dei suoi famosi cavalli e di numerose razze di volatili che occupano i rami alti con i loro nidi sferici dove si posso ammirare madri che sfamano i piccoli.



Quasi sulla costa si arriva alla città di Aigues Mortes, cioè “la città delle acque morte”dal momento che, a dispetto dell’iconografia tradizionale che la fa sembrare affacciata sul mare, questo borgo  mantiene solo un canale di passaggio verso il mare. È circondato da saline, colorate di rosa da una particolare alga che vi cresce sul fondo, che si possono scorgere dalle mura di difesa della città, completamente intatte e percorribili nel loro quadrato. Queste mura difensive, insieme alla Tour de Constance a volte usata come prigione, furono costruite da Louis XIV e dal figlio Philippe Le Hardi con i soldi della tassa di passaggio che ogni viaggiatore doveva pagare per poter attraversare il canale e prendere la via del mare o, al contrario, per andare nell’entroterra. Guardando la città dall’alto delle sue mura si nota la pianta romana,con vie perfettamente perpendicolari in orizzontale e verticale.



Arles, la “Roma gallica”, è sicuramente la città più “romana” della Provenza: un anfiteatro e un’arena in condizioni di gran lunga migliori del Colosseo riempiono come giganti la città dalle strette vie. La buona condizione dei monumenti si spiega col fatto che a partire dall’Ottocento questi spazi, che un tempo ospitavano drammi e giochi di ogni tipo, furono riutilizzati per le corride e le gare di cavalli. Prima dell’Ottocento, invece, queste immensità di pietra furono montagne per la popolazione di Arles, che ne presero mano a mano i suoi pezzi per costruire abitazioni, proprio all’interno dell’Arena e utilizzando le sue belle mura come protezione. Strano immaginare una città che prende forma all’interno di un monumento storico di tale portata, e che negli anni lo sommerse completamente fino a non vederne più una pietra. Ma Arles è anche la città di Van Gogh, la città della Maison de Santé dove venne curato e la città di cui descrive i giardini, i ponti e i monumenti con occhi attenti da pittore.



In ogni viaggio si incappa sempre in una città che è la “Venezia” di qualcosa. Ecco, Martigues è la Venezia della Provenza. Certo, ci sono piccoli ponti su romantici canali che finiscono il loro corso nel mare, e anche piccole e tipiche imbarcazioni attraccate, ma le case si avvicinano sicuramente di più a quelle fantasiosamente colorate della Liguria, per non parlare del suo poco rilievo culturale. Bella è la sua spiaggia di Saint Croix, sovrastata da una chiesa in stile spagnolo.



Marsiglia è un capitolo a parte. Marsiglia è una città di porto come può esserlo Genova dove ci si aspetta di trovare un frizzante commercio e un via e vai di genti, popoli differenti che vengon per mare. Mi aspettavo di certo una popolazione più africana, arrivata dalle ex colonie francesi, e invece Marsiglia è una città orientale. È occidente e oriente insieme, da tanto le due culture si mischiano, non senza contrasti agli occhi del turista. Esiste un enorme quartiere arabo, dove non solo questo popolo vive ma conduce attività. Non si tratta però del ristorante o del negozio che attrae l’occidentale per il suo esotismo, ma di attività commerciali, di ristorazione e altro fatte da arabi per gli arabi, gli unici clienti esclusivi. Marsiglia è una città che sembra straniera, ma chi posso chiamare straniero se lo straniero è vicino, e così integrato nel sistema dalle sue generazioni di occupazione? Nel quartiere arabo vince la sporcizia e il caos di macchine, spazzatura e gente. Questo aspetto caotico e di poca cura della città è visibile ovunque, ma in questo quartiere in particolare. Marsiglia è una città che ostenta uno scheletro parigino, con grandi boulevard e maestosi palazzi alcuni in stile liberty, ma che ai primi metri da terra vive una vita di povertà, di noncuranza per le abitazioni stesse e per la spazzatura tenuta a marcire da settimane. Qualcosa stride tra il visibile a terra e verso il cielo, a Marsiglia dalla ricchezza alla povertà vi è meno di un passo.
Dall’alto sovrasta la chiesa di Notre Dame de la Garde, cioè nostra Signora della Guardia, che guarda e protegge i marinai della città a lei devoti. I muri della chiesa sono pieni di preghiere e voti che i viaggiatori e le loro famiglie le porgevano nella speranza di tornare a terra salvi e con esotici tesori.  Dal porto vecchio partono i battelli per Chateau d’If, il castello costruito su un’isola al largo di Marsiglia per difendere la città dagli avventori. Non trovando utilità come castello difensivo poiché non ci furono attacchi fu trasformata in una prigione. E’ in questo luogo dove la pietra bianca impedisce la fuga che si formò l’immaginario di Alexandre Dumas per l’ambientazione della prigione del conte di Montecristo. Un giro nel quartiere del “panier”, nel cuore della città vecchia fa scoprire un altro volto di Marsiglia, più caratteristico e pieno di negozi di artigianato dagli oggetti coloratissimi. Non dirò che Marsiglia è brutta, come raccontano quasi tutti coloro che l’hanno visitata. Dirò che è vera, molto di più dei paesini caratteristici e perfetti il cui cuore batte solo perché sono diventati turistici. Marsiglia ha un cuore, o forse più d’uno che battono perché c’è vita , c’è caos, c’è energia.













Sulla costa a est di Marsiglia, tra la città portuale e il piccolo borgo caratteristico di Cassis, la pietra bianca si è modellata in bellissime increspature e disegni per il battere continuo dell’acqua del Mediterraneo. Ne risultano delle cale, le “Calanques”, e delle spiagge raggiungibili solo con piccole imbarcazioni o a piedi dopo lunghe ore di cammino, spesso impedite dal rischio di incendi.



Ultima tappa sulla via di casa è Aix-en-Provence, una piacevole città dai palazzi dall’elegante sobrietà, dalle belle piazze e fontane. Città natale di Cézanne, ha una bellissima cattedrale, la Cathédrale St-Sauveur che presenta stili architettonici tra il V e il VII secolo dove si ammira il trittico del Roveto Ardente e un bel chiostro. Al mio arrivo avviene fortunatamente l’apertura delle ante originali in noce dell’ingresso, normalmente protette da un’altra porta di legno, capolavoro di Jean Guiramard.



Questo viaggio, che da una parte mi ha lasciato poco sazia per la similarità che ho trovato nelle abitazioni, nelle chiese, nei paesaggi alla mia Italia e al già visto, è stato interessante per ciò che ho trovato di imperfetto, come Marsiglia, e per i colori e i profumi provenzali. Dopo la Germania di Koblenz ho ritrovato anche qui il fiume Rodano, qui chiamato Rhone, che è lo stesso fiume eppure così diverso. 

venerdì 28 agosto 2015

Provence: dal Luberon alla città dei Papi

Joseph Roth, che da bambino sognava le città bianche della Provenza , scrive che i suoi tre colori principali sono “la pietra bianca, il cielo blu, il verde scuro dei giardini”. Io ne ricordo molti altri, dal viola-grigio della lavanda al rosa dei fenicotteri della Camargue e delle saline, tutte le tonalità dell’ocra fino al rosso delle rocce ricche di ferro.

Il mio viaggio nella terra del sole è iniziato in macchina passando per la frontiera di Sestrières facendo tappa a Briançon, piccolo paese inaspettatamente più ricco di arte e di passato rispetto alle vicine località sciistiche. Un’altra breve e piacevole tappa dettata dallo stomaco vuoto e dal piede sempre sull’acceleratore è capitata per caso a Savines le Lac, su una spiaggia di sassi mirando i volteggi dei parapendii che tinteggiavano a mezzaluna il cielo. 

Il punto stabile dei primi giorni è stato Apt, una cittadina non molto turistica, comoda per raggiungere  i vicini villaggi arrampicati sui lievi monti della Provenza. Percorrendo le belle strade provinciali del parco del Luberon ritrovo immediatamente la pietra bianca di cui parla Joseph Roth nelle sue pagine. Le montagne sono nude, nessun bosco le copre nascondendo il profilo grezzo, riparandole dal sole. E quando la forte luce del giorno le colpisce le fa sembrare anche più grandi, come amplificate. Solo verso l’Abbaye de Sénanque, posta in una vallata ombreggiata, si trova il verde degli alberi  insieme ad enormi campi di lavanda che purtroppo al mio arrivo è già andata incontro al raccolto di fine giugno-inizio luglio. Ne rimangono solo i gambi che formano piccoli cespugli rotondi e, dove non è passato l’uomo, dei malinconici fiori viola-grigio che ben si sposano con il colore dell’Abbazia. Questa è ancora dimora di un gruppo di monaci cistercensi e tra le antiche parti dell’abbazia, ormai solo turistiche, sono visibili il dormitorio, il chiostro con un giardino in fiore e la sala capitolare, luogo scelto per la predica e l’ascolto  della regola di San Benedetto.



A Gordes, piccolo villaggio in cima a un pendio, incontro il mio primo mercato pieno di frutta e verdura ma anche di tessuti, profumi provenzali e tante salse, mostarde paté di ogni tipo. Con piacere passeggio per le strette vie e comincio la camminata panoramica pensando a quanto quel tratto di valli assomigli alla Toscana.


Appena sotto il paese si raggiunge il Village des Bories. Si tratta di un insieme di costruzioni, le più antiche del 17° secolo e le più recenti del 19°, create in pietra a secco, cioè incastrando le pietre bianche senza l’utilizzo della malta. Questa versione provenzale dei nostri trulli, nonostante la difficile condizione di vita, ha ospitato pastori e agricoltori addirittura fino al secolo scorso.



Con gli occhi abituati al bianco di Gordes, Roussillon e la terra su cui poggia mi sono parsi un infuocare di colori. Avvicinandoci al paese la strada si fa ocra, poi arancione e addirittura rossa lasciando traccia sulle scarpe. Il paese appare rosso, dal momento che ogni casa è tarata su questa tonalità, dai muri, alle porte, ai tetti. Tanti i negozi che vendono pitture e polveri da miscelare con i colori di questa terra e intanto i bambini si divertono a raccoglierla per poi dipingersi bagnandola un poco. Dal paese inizia il Sentiers des ocres, un viaggio che porta in una sorta di gran canyon del Colorado che mostra il corpo sanguineo delle montagne.











Una breve tappa a Cavaillon, sulla via per Avignon, mi lascia senza molti commenti, a parte la presenza di una sinagoga che purtroppo non ho avuto il piacere di visitare.
La città dei Papi è una fortezza religiosa, una medioevale città fortificata da spesse mura, con un grande palazzo-castello gotico che nel Trecento ha ospitato i tre papi Bonifacio VIII, Benedetto XI e Celemente V. Questo periodo cosiddetto di cattività avignonese ha portato alla costruzione di questo maestoso palazzo, che ha l’aspetto di un luogo difensivo per la guerra e che invece ospita arazzi, affreschi e la culla della chiesa. Più che in cattività, questi Papi mi sembrano siano stati in vacanza, tanto che esisteva anche una residenza fuori le mura aldilà del Rodano per le permanenze estive. Dell’interno sono visitabili venticinque stanze, i giardini, le cappelle, anche se il Palazzo dei papi è stato in gran parte distrutto dalla Rivoluzione. Intanto la città arde sotto il sole e il bianco delle sue pietre lo riflette soffocando e abbagliando i turisti.



Les Beaux de Provence è il grande sito medievale della Provenza che mantiene un imponente castello di pietra bianca su uno sperone roccioso che domina il villaggio e la valle ricca di vigne e ulivi. Sono visibili copie delle catapulte utilizzate nelle battaglie che mi sono diverta ad azionare insieme a un gruppo di giovani turiste lanciando il peso poco più in là dei nostri piedi. La montagna su cui si inseriscono impavide le vie è un fantoccio pieno di gesso e pietra che l’uomo negli anni ha scavato fino al cuore, estraendone il bianco. Dentro un’enorme cava a più piani, dove si respira un’aria umidiccia e si percepisce una strana pressione atmosferica, appare immenso ai miei occhi lo spettacolo delle “carrières de Lumières”: una riproduzione sui muri interni della cava in scala gigantesca delle opere del Rinascimento italiano di Michelangelo, Leonardo da Vinci e Raffaello. La famosa “dama con l’ermellino”, la “Cappella Sistina” e “L’ultima cena” sfilavano nella loro interezza o alcuni particolari dei corpi o del paesaggio, così spaziose e così vicine, che era una gioia fruirle senza il pubblico dei musei, lontane sui soffitti, o troppo piccole e protette dalle vetrine.


lunedì 20 aprile 2015

Toscana cortese

Volterra

Siena, Palazzo Comunale

Siena, Piazza del Campo

Siena, panorama dalla Torre del Mangia

San Gimignano

San Gimignano


mercoledì 24 luglio 2013

La fine è il mio inizio

Ultimamente leggo molto e come sempre, accade che mi viene voglia di scrivere. 
Allo stesso tempo però ho sempre avuto qualche reticenza a scrivere di libri che ho letto, al massimo li cito in riflessioni o vaneggiamenti miei medesimi. Dev'essere che scrivere di libri mi ricorda sempre i riassunti, o le odiatissime domande di comprensione dei primi anni di scuola che quasi i libri te li fanno odiare (e questo lo sa bene Pennac! .... visto come cito bene?)
Ma Tiziano Terzani è troppo ispiratore per stare zitti zitti e non condividere. 
Ho letto solo questo libro, "La fine è il mio inizio", ma ho la strana sicurezza che di questo autore sia proprio il migliore. Sono le riflessioni di viaggi, quelli fisici e numerosissimi, e quello unico e intimo della vita. 
Ricordo che uno scrittore era convinto che accanto al titolo del proprio libro l'autore dovesse mostrare anche l'età a cui l'ha scritto, come d'altronde il lettore dovrebbe annotarsi a che età ha letto il libro. Giustissimo!
Ecco perchè ho la presunzione di dire che è il migliore di Terzani. Perchè la sua voce, attraverso la penna del figlio, non poteva essere più onesta e completa nel raccontare come ha vissuto vita e fatti alle sue passate età, e come li rielabora alla fine della sua vita. E' un invito al viaggio, alla conoscenza, allo studio per qualcosa di bello, all'amore e curiosità per il diverso. Semplice, ma così genuino, così possibile perchè lui ne è testimone e per nostra fortuna anche voce. Fortuna ancor più grande, dice, è che non è l'unico e che questo dovrebbe essere la normalità.
Mi è piaciuta la riflessione sugli studi, in particolare quelli universitari, una volta destinati solo ad una élite e adesso così comuni. La differenza stava nelle motivazioni, una volta si studiava perchè la famiglia ne aveva i mezzi e per il desiderio di maggiore cultura, tutto qui, non si sceglieva certo un indirizzo universitario perchè grazie a quello si trovava più lavoro. A quel punto mi veniva l'impulso di consigliare il volume a tutte le matricole di Economia!
Ci ricorda la nostra storia, la storia italiana, il gelato dei ricchi e rifiutare i dolci nelle case altrui. Credo che per tutti in quegli episodi, Tiziano abbia dato voce alle nonne d'Italia!
Poi racconta la sua storia al figlio maschio, un altro personaggio ribelle come il padre, a cui evidentemente lascia il testimone delle sue idee e dei suoi valori. Perchè, spiega Terzani, il suo desiderio più grande per il figlio Folco è la libertà, di condurre una vita fuori dai legami e dalle costrizioni della società, mentre per la figlia Saskia tutt'altro programma! E' una donna, e sarà sempre meno libera per l'obbligata devozione alla famiglia, ai figli. Forse da Terzani non mi aspettavo tale conclusione, ma ammetto che anche se Virginia Wolf ha ucciso l'Angelo del Focolare, la natura femminile è abbastanza differente. 
C'è poi sempre un personaggio secondario meraviglioso in tutte le storie, un po' come la amatissima professoressa Mc Granitt, ed è la moglie Angela. A Virginia forse non sarebbe piaciuta, ma la sua forza e devozione sono ammirevoli. 




martedì 23 luglio 2013

SagaSì

Certo, le saghe sono un'operazione commerciale. 
Se un lettore compratore del volume I della saga X si appassiona a un certo personaggio (magari pure eroe) o alla storia (magari pure sanguinosa) vuoi che non compri pure il volume II della suddetta saga? Vuoi che un professore di letteratura nella lista dei libri per le vacanze non inserisca il volume I della saga X nella speranza che i suoi studentelli leggano anche gli altri? E poi, vorrai mica fare un solo film dell'ultima avventura di Harry Potter? Taaaac, ne faccio 2 così doppi incassi. 

Ma quanto sono belle però le saghe. 

Perchè quando leggiamo qualcosa che ci prende e divoriamo il libro, superiamo la metà delle pagine e cominciamo a sudare freddo nella duplice sensazione di desiderio di terminare al più presto la storia e di paura di perdere quel mondo da cui non vorremmo più uscire. 
La saga risolve il problema dell'affetto che tutti noi abbiamo provato per i personaggi di Harry Potter, del sig. Malaussène di Pennac, di Vianne Rocher e di qualche sig. Vampiro. Mi piace soprattutto pensare che sia lo scrittore a provare tanto amore per i suoi personaggi di penna da non voler farli morire alla prima copertina rigida, ma continuamente farli rivivere. Lo prendo come un atto d'amore verso il mondo fantastico che lui ha creato e verso i lettori.
Mi piace pensare ai lettori di Pinocchio, all'epoca edito sulla rivista "non ricordo il nome", che mandano lettere di supplica a Carlo Collodi per continuare la storia del burattino, fatto disgraziatamente morire impiccato. Così Collodi, obbligato dal suo pubblico, lo fa persino resuscitare! Più o meno dice "scherzavo", tanto è un pezzo di legno e se lo poteva permettere!




martedì 2 aprile 2013

Amadìssima Lisboa


Mosteiro dos Jerònimos de Belém


Mosteiro dos Jerònimos de Belém


Torre de Belém


Miradouro, Lisboa


Bairro Alto, Lisboa


Alfama, Lisboa

venerdì 28 dicembre 2012

Se permette M. Tolkien...

avrei un appunto!

Proprio non capisco la premessa iniziale de lo Hobbit. 

Una banda di nani mangiatorte insieme al pantofolaio Bilbo Baggins parte per vendicare il possesso della loro città distrutta dal terribile drago Smaug. Il suddetto sputafuoco aveva ucciso quasi interamente la povera popolazione per impossessarsi dell'oro che questi nanetti avevano in abbondanza. Quindi, una volta entrato indisturbato nel castello riunì tutto l'oro na(n)nico per farci un comodo letto su cui dormire e fare bei sogni per anni e anni.

Questo è il punto!

Cosa ne sa un drago, essere animale con poco intelletto e la cui razza di certo risponde alle leggi spietate della sopravvivenza animale, dell'oro??
Infatti non lo conosce poi tanto bene. Lo desidera, ma non per farne lo stesso utilizzo dei nani o della razza umana: arricchirsi e comprare. Lo usa come letto! Probabilmente è attratto dal colore o il luccichio ma Tolkien non ce lo dice, anzi, nessun personaggio del libro sa spiegare la motivazione che spinge i draghi a desiderare l'oro. 

Mi sembra strano tutto questo, solitamente nelle leggende o storie antiche si spiega molto attentamente la questione denaro perchè era una preoccupazione costante della società, molto più che adesso. Insomma, farsi i conti in tasca è tipico di tutti i personaggi letterari fino al 900.
Così mi è venuto in mente un confronto con "I viaggi di Gulliver". Nel 4° libro il rappresentante della razza umana arriva nella terra degli Houyhnhnms, i cavalli razionali, esseri saggi  ma che non conoscono il significato di parole come vero e falso, e non concepiscono il concetto di guerra e di violenza. Non conoscono nemmeno il lessico relativo al denaro, perchè non ne hanno esperienza dal momento che le loro leggi naturali fanno sì che i cavalli non ne abbiano bisogno. La comunicazione con Gulliver in merito alla questione è dunque impossibile nonostante gli sforzi del bipede per spiegar loro la funzione dei soldi. 

Che un drago conosca, abbia esperienza anche solo parziale del denaro mi sembra dunque un po' assurdo. Però lo Hobbit è una storia di fantasia, quindi potrei anche accettare questo fatto proprio come accetto che esistano tutte le strane creature della foresta. Forse la cosa più disturbante è che il tema drago-oro è la premessa iniziale del libro, e se questa è la strana premessa chissà cos'altro potrà succedere. 

Postulato conclusivo: i draghi sono gazze ladre che hanno mangiato troppi panini!



martedì 30 ottobre 2012

Riflessioni a 6 corde

Domani mattina. Mani fredde. Casa vecchia senza riscaldamento. Più di un'ora di musica.

Ogni tanto suonare è un peso, un'immensa fatica mentale e fisica.
Ogni tanto chitarrina mia proprio ti odio.

Il mio grande problema sono le variabili: mal di schiena, temperatura bassa, agitazione, respiro, situazione. Troppe variabili che condizionano la tecnica.
Purtroppo però a un musicista non è concessa alcuna scusa: la musica necessita un livello eccelso, al contrario dà addirittura fastidio.

Altra questione è la comunicazione.
Suonare è stata per me una via per dire qualcosa che non avrei mai articolato in mille discorsi, ma è stato anche specchio di momenti tristi, quando il mio essere era così vuoto che anche la musica non diceva nulla.
L'interpretazione dei brani di domani è così legata a una visione e versione accademica che mi chiedo quanto dicano di me quando li suono, se sono così preoccupata di dire cosa sono loro.
Da un anno ho ormai scoperto il labile equilibrio tra filologia e interpretazione, un modo carino di dire che ti trovi in una prigione che però puoi arredare a piacere. Da brava letterata che sono amo la filologia, credo insegni il rispetto e sono quindi assolutamente favorevole a costituirmi. Ma a volte rimpiango la semplicità e l'amore che un insegnante un giorno mi insegnò e che il ritrovarlo mi ha fatto ricordare.

Billy Elliot parlava della danza, io della musica, ma sempre di elettricità si tratta.





domenica 30 settembre 2012

Rime scarse (2)


 Epic Rap



Archemoro in guerra
Comincia la scommessa
Tuoni e spari echeggian
Al tempo della messa

Un Titone qui non vive
Preferisce sì morire
Infilza poi i suoi anni
Col suo tritone in fiamme
  

 Qual è il tuo responso
Regina di cristallo
Accechi e ridi intanto
A noi ci stringe il pianto
  

Per noi il mondo è vuoto
Ed ogni uomo è ignoto
Distinti da un colore
E un numero d’onore

Non si può sperare in pace
Un suono e poi ti piace
Quel dolore che rimpiazza
Il rimbombo nella testa


 Qual è il tuo responso
Regina di cristallo
Accechi e ridi intanto
A noi ci stringe il pianto


La tua conciliazione
Con chi più non ha nome
Bestemmia, prega e via
è falsa idolatria